Rocca di Cerere Geopark
- DESCRIZIONE
- INFO E CONTATTI
- PATRIMONIO NATURALISTICO
- PATRIMONIO GEOLOGICO
- PATRIMONIO STORICO-CULTURALE
- GEOTURISMO
- MUSEI E CENTRI DI EDUCAZIONE AMBIENTALE
- UFFICI TURISTICI
DESCRIZIONE
Il Rocca di Cerere Geopark si trova in Provincia di Enna ed occupa un’area territoriale di 1.279 km2, comprendendo i comuni di Enna, Aidone, Assoro, Barrafranca, Calascibetta, Leonforte, Nissoria, Piazza Armerina, Pietraperzia, Valguarnera Caropepe, Villarosa.
Il Geoparco Rocca di Cerere ricade nella fascia centro meridionale della Provincia di Enna, nella zona centrale della Sicilia, su un altopiano di zolfo e gesso con cime di arenaria, caratterizzato dalla sua diversità geologica.
Geologicamente l’area copre la parte centrale dell’avanfossa siciliana compresa tra la catena appenninica e l’avanfossa iblea. Nella sua area settentrionale la fascia di spinta all'interno del ramo meridionale dei Monti Erei, si è formata dalla collisione delle placche tettoniche africane ed europee. La zona settentrionale presenta depositi con bellissime formazioni di arenaria. Questo impatto tettonico in corso porterà alla chiusura del Mar Mediterraneo. Questa crisi si è verificata a causa dell'essiccazione del Mar Mediterraneo quando lo Stretto di Gibilterra si è chiuso. La crisi si è conclusa con il ritorno del mare e la deposizione di depositi "marini bassi". Qui sono emerse diffusamente le più potenti ed estese sequenze di rocce evaporitiche di età messiniana dell'intero bacino mediterraneo. L’area è significativa per i suoi depositi di gesso e zolfo che sono stati depositati durante la crisi di salinità messiniana, tra 5,96 e 5,33 milioni di anni fa. Miniere di zolfo abbandonate e la storia dell’estrazione dello zolfo si possono vedere nel Parco minerario Floristella-Grottacalda, uno dei siti più significativi per l’archeologia industriale del sud Italia.
L'area comprende anche un importante sito UNESCO: la Villa Romana del Casale e, inoltre, uno dei più importanti siti archeologici del Mediterraneo: la pòlis di Morgantina.
Riconosciuto come Geopark nel 2008, è entrato a far parte della rete mondiale UNESCO Geopark nel 2015.
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INFO E CONTATTI
Società Consortile Rocca di Cerere Geopark
Via Vulturo, 34
94100 Enna
Sito web: www.roccadicerere.eu
Email: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Tel. +39 0935 504717
PATRIMONIO NATURALISTICO
Per tentare di dare una facile lettura degli aspetti ecosistemici presenti nel vasto territorio del geopark Rocca di Cerere abbiamo voluto così riunire in categorie quegli ambienti naturali che più frequentemente si incontrano passeggiando in queste contrade. L’altimetria dell’area del Geopark va dalle vallate del Dittaino e dell’Imera meridionale, che corrono verso il mare a poche centinaia di metri di altezza slm alla cima dell’Altesina, l’antico Mons Aereus, posta a 1192 m slm. Questa altimetria fa sì che il paesaggio comprenda diverse fasce vegetazionali che vanno da quella Termomediterranea a quella della Foresta latifoglie decidua. Partendo dalle lande più basse ed insolate, nelle aree di valle del territorio, tra i campi e le aree di calanchi, possiamo trovare ancora i segni della vegetazione originaria della fascia Termomediterranea. Questa vegetazione era caratterizzata in queste aree da specie sclerofille abituate alla arsura della lunga estate siciliana. Dominanti dovevano essere il carrubo (Ceratonia siliqua) e l’oleastro (Olea oleaster), miste ad altre specie sia arboree che soprattutto arbustive quali il lentisco (Pistacia lentiscus) ed il terebinto (Pistacia terebinthus), oggi meno frequenti ma tipici di questa formazione sono anche il corbezzolo (Arbutus unedo) la fillirea (Phillirea latifolia e P. angustifolia), ma anche la palma nana (Chamaerops humilis) l’unica palma autoctona della Sicilia. Un tempo la fascia mediterranea caratterizzata dalla presenza di una copertura forestale a dominanza di leccio (Quercus ilex) ed in associazione con altre essenze latifoglie doveva rappresentare la nota più diffusa del paesaggio dell’area, ma a partire dall’età classica ed in particolare dall’età romana, l’esigenza della produzione cerealicola, testimoniata sia dagli scritti di Cicerone che dalle innumerevoli cisterne frumentarie ritrovate in tutte le aree urbane antiche, dovette innestare un processo secolare di disboscamento e di isolamento della vegetazione arborea nelle aree più acclivi e impervie. D’altro canto la frequenza del pascolo e la copiosità delle greggi e degli armenti contribuirono a impedire l’innovazione naturale della copertura arbustiva ed arborea sino all’azzeramento delle potenzialità della stessa in gran parte del territorio vallivo e collinare. Oggi il paesaggio è in vaste aree dominato dalla estensiva presenza di campi di grano o di colture rotazionali strettamente legate allo stesso cereale, quasi che la scelta mitica della madre del cereale, Cerere – Demetra, avesse monopolizzato la capacità produttiva di queste terre. Il climax fondamentale della vegetazione mediterranea italiana è quindi quello del bosco di leccio (Quercus ilex) nel cui sottobosco predominano gli arbusti sclerofillici e diverse specie di piante erbacee rampicanti e di lianose come la salsapariglia (Smilax aspera) o la fiammola (Clematis flammula). Nelle parti più calde il leccio può lasciare il posto alla sughera (Quercus suber), un’altra quercia sempreverde caratterizzata da un notevole sviluppo della parte suberale della corteccia. Il corteggio vede diverse specie mischiarsi al leccio soprattutto nelle aree in cui il manto è meno fitto, tra queste sono frequenti sia il pero mandorlino (Pyrus amygdaliformis) che il perastro (Pyrus piraster), che in primavera sono tra le prime rosacee a guadagnarsi il manto fiorito. Le erbacee a portamento più basso sono più rare quando la vegetazione è in condizioni climaciche, in quanto la scarsità dell’illuminazione al suolo ne impedisce lo sviluppo, ma proprio per la grande degradazione che la formazione forestale ha dovuto sopportare negli ultimi duemilacinquecento anni, non di rado le essenze arboree hanno lasciato il passo a quelle erbaceo-arbustive ed oggi è più facile trovare una formazione a macchia caratterizzata da un intrico vegetazionale non di rado impenetrabile che la gente dei luoghi indica con il nome di “sciara” dall’arabo “Sha’ra” = boscaglia. Tra la vegetazione della macchia si ritroveranno rovi (Rubus sp.) rose e salsapariglia, il raro pigamo di Calabria (Thalictrum calabricum), e il cisto con diverse specie. Più in alto, a chiudere le fasce vegetazionali presenti nell’area del parco, troviamo la parte più termofila della Foresta latifoglie decidua qui dominata dalla roverella (Quercus pubescens sensu latu). In associazione con essa si trovano in natura sia le due specie di Pyrus di cui si è detto avanti, che la coronilla (Coronilla emerus), il citiso a foglie sessili (Cytisus sessifolius), il prugnolo (Prunus spinosa), la rosa sempreverde (Rosa sempervirens) e la canina (Rosa canina). Più raro è l’alaterno (Rhamnus alaternus). Lo strato erbaceo in questo caso concentra il suo maximum vegetazionale durante i primi tempi della primavera, quando ancora le roverelle non hanno messo le nuove foglie ed il sole consente lo sviluppo delle specie più piccole. In questo periodo nella querceta sarà possibile incontrare belle fioriture di anemone (Anemone hortensis) e di ciclamino (Cyclamen repandum). Tra le rocce e vicino ai cisti crescerà poi la felce aquilina (Pteridium aquilinum) e nelle aree più umide l’ombelico di Venere (Umbilicus rupestris).
Testo tratto da: https://www.isprambiente.gov.it
PATRIMONIO GEOLOGICO
A Nord dell’area del Geopark affiorano le unità esterne della catena, che costituiscono la propaggine più meridionale dei M. Erei. Esse formano, come già evidenziato, un thrust belt in sovrapposizione tettonica sia su un sistema a thrust sepolto, costituito dalle unità sicane s.l., che sui depositi plio-pleistocenici dell’avanfossa di Gela in un sistema a duplex. Durante il raccorciamento sono state coinvolte successioni via via più esterne, per cui le unità più alte strutturalmente sono quelle relative ai paleodomini più interni. Il thrust è costituito essenzialmente da sequenze di scaglie sovrapposte del Flysch Numidico, scollatesi solidalmente, a partire dal Miocene medio, con le sovrastanti Unità Sicilidi già strutturate e che attualmente si rinvengono in sovrapposizione tettonica sulle successioni più esterne (LENTINI et alii, 1991). Tra gli affioramenti più significativi sono da menzionare il complesso di M. Altesina, e le scaglie tettoniche che formano le dorsali di Punta Bavoso, Musa, Rocca di Castiglione, Gresti, Guzzetta e Castellaccio. Le scaglie rocciose, sovra scorse su diversi terreni con vergenza meridionale, emergono tra i sedimenti pelitici. Spesso sono associate agli affioramenti del Complesso Sicilide in klippen tettonicamente sovrapposti al Flysch Numidico. In Contrada Vignale e a Cozzo S. Agostino, in territorio di Leonforte, affiora un’interessante successione, confinata tra due Unità numidiche, e data da sedimenti appartenenti al Dominio Imerese ed alla Piattaforma Panormide. I termini sedimentari contenengono un sill diabasico di età medio-supra triassica. La roccia ignea ha composizione basaltico toleitica, ed è tipica di contesti estensionali di ambiente oceanico o intraplacca. (GRASSO, SCRIBANO, 1985) L’area centrale del Geopark, al contrario, è prevalentemente interessata da terreni che costituiscono l’avanfossa, al cui interno si distingue il Bacino di Caltanissetta, attivamente subsidente durante il Neogene per compensare il forte sollevamento nel settore assiale di catena. Questo bacino, delimitato a Sud - Est dall'Avampaese Ibleo, occupa una vasta area nella Sicilia centrale e a partire dal Miocene superiore sino al Pleistocene inferiore ha svolto il ruolo di avanfossa rispetto alle aree interne di catena. Secondo un’ottica più moderna questo settore rappresenta l’area di affioramento di numerosi bacini sedimentari contigui, prevalentemente sintettonici, che ricoprono il tratto di catena più giovane ed esterno (VITALE, 1996). Oggi vi affiorano numerosi bacini satelliti del tardo Neogene che in parte ricoprono le strutture della catena e che in parte sono coinvolti nuovamente da sovrascorrimenti fuori sequenza. Dal Tortoniano superiore, le aree già deformate della catena vengono interessate dalla deposizione, in discordanza, di grossi volumi di sedimenti silico-clastici, di tipo molassico (Formazione Terravecchia) che occupano i bacini satelliti delle aree più depresse ed il fronte della falda, con deposizione di tipo piggy back. Nell’area del Geopark la formazione ha prevalentemente carattere di apporto terrigeno in mare aperto e localmente di facies di delta. Al di sopra della formazione Terravecchia ritroviamo il ciclo evaporitico preceduto dalla deposizione del Tripoli, una diatomite bianca, fogliettata contenente resti di pesce, testimone dell’ambiente anossico instauratosi nel Mediterraneo nel Messiniano inferiore. La formazione evolve, verso l’alto, alla serie Gessoso-Solfifera, la successione di sedimenti prevalentemente evaporitici depositatisi dal Messiniano inferiore al Pliocene inferiore a seguito della “crisi di salinità” che interessa l’area mediterranea per la chiusura della soglia che la separa dall’Oceano Atlantico (l’attuale stretto di Gibilterra). La successione evaporitica o “Serie Gessoso Solfifera”, per usare la terminologia introdotta da OGNIBEN nel 1954, inizia con la deposizione del Calcare di Base che evolve ai Gessi ed ai Sali di sodio, potassio e magnesio. Questa deposizione non è tuttavia da intendere come continua dal basso verso l’alto, ma in relazione alla conformazione del bacino di sedimentazione. Tutto il Messiniano, infatti, è concentrato al di sopra di scaglie tettoniche con alti strutturali su cui si deposita il calcare di base e bassi strutturali dove si depositano i gessi e gli altri sali. Una fase tettonica intramessiniana è responsabile di una discordanza regionale che permette di separare la successione evaporitica in due cicli, uno inferiore ed uno superiore (DECIMA & WEZEL, 1971). Quest’ultimo poggia sul primo con geometria onlap in seguito alla deformazione del ciclo inferiore e alla tendenza trasgressiva del secondo ciclo per un innalzamento del livello di base locale. Ciò è testimoniato dalla presenza di argille gessose che indicano un ingresso delle acque marine. Nel Bacino di Caltanissetta si assiste prevalentemente alla deposizione del secondo ciclo a spese del primo. Abbondante è, inoltre, la deposizione dello zolfo ad opera dei batteri solfato riduttori. Numerose sono le miniere che costellano l’area del Geopark e testimoniano due secoli di storia in cui la Sicilia era la più grande produttrice mondiale di zolfo. Altri significativi siti minerari, legati alla successione evaporitica, sono Pasquasia e Corvillo, le più grandi miniere di sali potassici siciliane. Verso l’alto, i termini della Serie Gessoso Solfifera passano a sabbie ed arenarie arcosiche, note in letteratura con il nome di Arenazzolo, ricoperte da una formazione tipicamente pelagica, i Trubi, che indica il ritorno alla sedimentazione marina normale. La subsidenza sembrerebbe durare sino al Pliocene medio, ed è determinata dal crescente carico orogenico e dallo sprofondamento delle falde della catena nel Tirreno. Questa rottura provoca un “rimbalzo elastico” (BUTLER & GRASSO, 1993) delle zone più esterne della catena, che subiscono un sollevamento decrescente da nord verso sud. I Trubi rappresenterebbero proprio la fase di ingressione marina dovuta a tali movimenti così come una testimonianza di tale rimbalzo sarebbe la progradazione dei sedimenti plio-pleistocenici da Nord a Sud con un ringiovanimento e una diminuzione di inclinazione di questi dall’interno sino alla costa meridionale dell’isola. Si vengono così a formare delle parasequenze ed emicicli regressivi via via più giovani man mano che si procede dall’interno del Bacino di Caltanissetta verso l’esterno. Si distinguono il ciclo infra-medio-pliocenico di Capodarso dato dalle Marne di Enna e dalle Sabbie e Calcareniti di Capodarso e il ciclo supra-pliocenico dato dalle Marne di Geracello passanti verso l’alto alle Sabbie Superiori che nell’insieme rappresentano un altro emiciclo regressivo.
Testo tratto da: https://www.isprambiente.gov.it
PATRIMONIO STORICO-CULTURALE
Nel territorio del Geopark, insiste un complesso substrato storico e culturale che parte dagli albori dell’umanità, con i ripari dei nomadi paleolitici lungo il Gornalunga e che, come nel resto dell’isola, segue il corso delle influenze operate su queste terre da decine di popoli invasori, popoli in migrazione, imperi interessati ai prodotti della terra o alla sua strategica posizione nel Mediterraneo. Certamente il leit motiv dell’area ennese, sin dal neolitico, è quello della produzione agrosilvopastorale. Dai resti pre e protostorici risalta chiaramente la vocazione pastorale dei popoli che costruirono le tombe di Malpasso o che, più tardi realizzarono i villaggi che ancora oggi punteggiano con i loro resti le colline dell’intera area Erea. Latte, formaggi, carne e pelli, lane che insieme al lino diedero inizio all’industria tessile, ma anche una agricoltura da subito legata al grano. Queste sono le terre del Triticum durum, il grano duro che è divenuto la base per il pane e per la pasta “vera”. Il mito principale di queste terre è legato alla Dea delle messi ed al suo corteggio di divinità ktonie a noi pervenute con i nomi e le caratterizzazioni del mondo ellenistico e romano. Demetra- Cerere, Kore-Proserpina o Ades-Plutone, vennero venerati per secoli con riti e misteri direttamente collegati con la terra e con la fertilità agricola. Quando il cristianesimo avanzò sulle credenze pagane, dovette dotarsi di una capacità sincretica che, soprattutto nei centri più grandi, riuscì a sostituire le vecchie divinità con santi patroni che, non di rado, mantenevano intatte le caratterizzazioni popolari dei predecessori. E’ il caso della Madonna di Valverde, ad Enna che per volere di San Pancrazio, divenne la patrona della città sino ad allora sacra a Cerere. L’età emirale ridisegnò il territorio, demolendo quasi del tutto il latifondo romano e ripopolando l’intera zona con la fondazione di nuovi centri o il rimpinguamento di quelli antichi ridotti al lumicino dalla lunghissima parentesi romano bizantina. I toponimi arabi designano ancora oggi gran parte del territorio anche sui grandi segni dello stesso, è il caso del Dittaino Wady at’tain, il fiume del fango, o di Calascibetta, Scioltalbino, Risicallà, Papardura, Rassuara, Favara. Con l’introduzione del feudalesimo di stampo franco normanno, la Sicilia del grano rivide la creazione dei latifondi e quindi la sostituzione delle masserie ai villaggi ed ai casali arabi e greci. La campagna venne quasi sempre utilizzata ai fini della produzione cerealicola o per la zootecnia e i segnacoli della stessa furono le ampie masserie fortificate, chiuse attorno al loro cortile, mentre le città videro innalzarsi nuovi castelli, regi nelle più grandi e strategiche, feudali nelle minori. Ancora oggi la visita del Castello di Lombardia di Enna, della Torre ottagona di Federico II e del Castello di Gresti danno l’impressione di essere catapultati nell’epoca medievale. La più grande innovazione territoriale venne invece nel periodo tardo medievale e moderno con la creazione dei nuovi centri prima legati alla colonizzazione gallo provenzale, ancora oggi testimoniata dalle parlate occitaniche, poi ai provvedimenti di Jus populandi per la trasformazione dei feudi agricoli in veri e propri paesi. I lombardi ripopolarono Aidone e fondarono Piazza Armerina, il cui impianto urbanistico tradisce una antica volontà pianificatoria, poi fu la volta delle città feudali: Leonforte dei Branciforti, Valguarnera Caropepe, sull’antico villaggio arabo per volere dei Valguarnera di Assoro, Nissoria, e Villarosa, voluta dai Notarbartolo per lo sfruttamento dei giacimenti solfiferi. Lo zolfo ed i sali, quasi a confermare la ktonicità dei luoghi, crearono l’ultima, incisiva nota del paesaggio dell’ennese, dal XVIII sec. vennero sfruttati appieno i giacimenti delle evaporiti, si aprirono miniere a centinaia, si costruirono forni, discenderie, case per i minatori, strade, ferrovie, persino magnifici palazzi per i “padroni” della ricchezza cristallina. Nell’area di Valguarnera rimangono ancora i resti di una “missione” mineraria dei gesuiti, forse l’unico esempio al mondo di un impegno monastico nello sfruttamento delle ricchezze minerarie oggi incluso tra i geositi del Geopark Rocca di Cerere.
Delle tante località che nei tempi hanno ospitato agglomerati urbani e rurali, oggi rimangono quattordici centri di medie e piccole dimensioni e di diverso ruolo territoriale. Alcuni di questi sono delle vere e proprie città d’arte, e praticamente tutti contengono emergenze monumentali e urbanistiche di interesse internazionale.
LE MINIERE DI ZOLFO
Il “Bacino di Caltanissetta”, esteso più di 5.000 In questa formazione rocciosa, intercalato o sottostante i Gessi, si trova lo zolfo. e comprendente le province di Enna, Agrigento e Caltanissetta è il più vasto territorio al mondo in cui affiora una successione di rocce sedimentarie, di origine evaporitica, denominata dai geologi Serie gessoso solfifera. A partire dal secolo XVII le necessità belliche resero necessario sfruttare i grandi quantitativi di zolfo presenti nel sottosuolo siciliano, così si iniziarono le prime semplici estrazioni. Inizialmente il modo di lavorare nelle zolfare (pirrere dal francese cava di pietra, in quanto le prime erano a cielo aperto) era piuttosto primitivo e senza nessuna pianificazione: individuata una vena di zolfo si scavavano delle buche attraverso le quali i minatori penetravano nelle viscere della terra e continuavano a scavare seguendo la massa minerale. Le discenderie erano ripide e all’interno si dipartivano gallerie in tutte le direzioni. Questo modo di procedere creava diversi problemi strutturali e spesso i minatori rimanevano uccisi dal crollo delle volte delle gallerie. Una volta estratto, il materiale veniva condotto all’esterno, portato a spalla dai carusi, giovani dagli 8 ai 14 anni, il cui carico, pesante almeno 25 kg, li rendeva deformi e rachitici. I carusi erano ceduti, spesso sin dalla nascita, ai picconieri in cambio del soccorso morto, un prestito in denaro che il ragazzino avrebbe restituito lavorando sodo. Il debito rendeva il giovane schiavo del picconiere dal quale subiva pesanti angherie. Cavato e portato in superficie lo zolfo nativo, trovandosi misto a gesso, calcare, marna e argilla, doveva essere separato per fusione. Il primo mezzo utilizzato a tale scopo fu la calcarella, un fosso dal diametro di circa 1-2 metri, con il piano inclinato in modo da permettere la colata dello zolfo fuso verso un’apertura detta morte, dove si faceva solidificare. La fusione avveniva rapidamente e in meno di 24-36 ore si completava la raccolta del minerale. Nelle calcarelle circa il 60% dello zolfo andava sprecato poiché si volatilizzava sotto forma di anidride solforosa con grave inquinamento delle campagne. Per puro caso si scoprì che ricoprendo la fornace le perdite di minerale si riducevano, diminuendo anche la produzione dei gas. Furono così realizzati i calcaroni o calcheroni, forni circolari a piano inclinato, dove il carico doveva essere disposto con perizia, lasciando degli spazi vuoti per permettere lo scorrimento del materiale fuso verso la morte e prevedendo degli sfiatatoi per favorire la combustione. Una volta stipato, il materiale veniva ricoperto da rosticcio (ginisi), prodotto di risulta delle precedenti fusioni, e dopo un certo periodo di tempo un minatore esperto (ardituri), poggiando l’orecchio sul calcarone si rendeva conto se tutto il materiale era fuso, apriva quindi la morte e lo zolfo liquido fuoriusciva. Il minerale fuso veniva, quindi, raccolto in contenitori di legno dalla forma di un tronco di piramide rovesciata detti gàvite qui il minerale veniva fatto solidificare per raffreddamento ottenendo dei lingotti detti balate. Completata la fusione il calcherone veniva svuotato ed il rosticcio veniva ammassato in prossimità degli insediamenti minerari, a formare discariche di materiale inerte, di colore rossastro. La polvere di zolfo veniva impastata in panotti ed utilizzata per rivestire i calcheroni, in modo da non sprecare nulla. In seguito, per diminuire la dispersione di anidride solforosa nell’ambiente, che danneggiava le colture e creava seri problemi alla salute degli operai, si sperimentò di affiancare tra loro diversi calcheroni, in modo da sfruttare il calore prodotto tra forni adiacenti nei quali il primo ad essere acceso veniva detto motrice. Nacquero così i forni Gill, dal nome dell’ingegnere che li progettò nel 1859. Questo metodo consentì il recupero dell’80% di zolfo e la riduzione di vapori tossici immessi nell’atmosfera. Nei primi anni del ‘900 lo sviluppo tecnologico in Sicilia faceva passi da gigante ma subito dopo la seconda guerra mondiale in America fu messo a punto il metodo Frash, che comportava l’estrazione del materiale mediante trivellazione. Una speciale sonda costituita da tre tubi concentrici perforava il terreno. Nel primo tubo veniva immesso vapore a 170 °C che fondeva lo zolfo, nel secondo tubo veniva immessa aria calda a pressione per far risalire, dal terzo tubo, lo zolfo fuso. Il minerale giungeva così in superficie, fuso e puro, e il tutto avveniva senza pericolo di crolli nelle gallerie, ne esalazioni del famigerato grisou. Non era necessario realizzare gallerie, pozzi di manovra, ascensori e si evitavano le immissioni di anidride solforosa in atmosfera. Il metodo purtroppo non era applicabile in Sicilia dove le masse solfifere erano arborescenti e non compatte come quelle della Louisiana e del Texas. Da altri autori possiamo trarre ulteriori utili elementi di storia del territorio, non dimenticando quanta parte l’epopea dei poveri minatori ha avuto nella letteratura siciliana. In provincia di Enna l’ultima miniera, Floristella, chiuse i battenti nel 1986.
Testo tratto da: https://www.isprambiente.gov.it
GEOTURISMO
Notevolissima e complessa è la proposta di itinerari di visita dedicati non solo all’aspetto più prettamente geologico del territorio ma anche ai patrimoni naturalistico ed archeologico culturale. Tutti gli itinerari possono essere realizzati sia seguendo le indicazioni fornite già dal sito del geopark ma anche con l’ausilio di guide ambientali escursionistiche patentate e adeguatamente formate sul territorio. A queste attività possono essere legate le attività realizzate dal Visitor Center di Pergusa, dedicate anche ai più piccoli e comprendenti il nolo di bici e tandem, quelle organizzate dal Centro di esperienza di Calascibetta e quelle, veramente innovative ed accattivanti, realizzate presso il Circolo nautico tre laghi, posto sulle rive del lago Nicoletti e comprendenti Sci nautico, wakeboard, attività ludiche d’acqua, solarium, vela, kajak, free climbing, tiro con l’arco, mountain bike etc.
Testo tratto da: https://www.isprambiente.gov.it